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I vostri INCONTRI ???
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blade |
Inviato il 25/11/2011 18.31.59 |
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C’era una volta un passero triste, il quale soffriva di solitudine, nel bosco, dove viveva con gli altri uccelli, che non erano passeri, ma aquile avvoltoi pavoni civette falchi colombe cigni cormorani sparvieri cornacchie picchi e così via. Era solo e sempre più triste volava di ramo in ramo, avanti e indietro, senza alcuna meta, senza alcuna compagnia e senza pace, come un disperato. Ma un giorno, con l’arrivo della primavera, non si sa da dove fosse venuta, comparve una bella passerotta nel bosco, che non sapeva volare, e che come lui soffriva di solitudine, nonostante fosse sempre circondata da pretendenti di ogni tipo. La bella passerotta non appena lo vide, così povero, si intenerì di quel passero e un sorriso di gioia le inondò il cuore. E da allora non pensava che a lui, era come una magia, doveva incontrarlo, sapere, doveva conoscerlo.
Sentiva che quel passerotto era come lei, aveva la stessa musica nel cuore, lo stesso battito d’ali la stessa voglia di vivere, aveva quella sua stessa tenera innocenza o candore, che cercava, senza mai trovare, negli altri, che sentiva diversi e distanti, con un’altra sensibilità un altro cuore un altro paio d’ali; d’altronde non erano neanche passeri. Così cantava tutto il giorno su quei voli del cuore per richiamare l’attenzione del passero triste e ritrovarlo, ma il passerotto era così triste e pessimista che si disperava e piuttosto che farsi trovare fuggiva lontano, a tal punto il cuore batteva forte nel suo petto che ogni volta gli mancava il fiato sulle ali, e quasi sembrava che volesse evitarla.
“Ma come” diceva la bella passerotta “io canto per lui, gli dico che l’amo e lui che fa? se ne va! Lo chiamo con il mio canto, gli chiedo di venire da me, perché voglio conoscerlo, e lui niente! nemmeno risponde?! Ma chi crede di essere quel passero triste! Io che sono una così bella passerotta, circondata da corteggiatori pettoruti e dalle penne leggiadre e colorate che farebbero follie per me, perdo tempo con un poveraccio così! Devo essere impazzita! Lui vuole solo cantarmi le sue canzoni da lontano senza venire mai da me, ma d’ora in avanti ha chiuso con me, non lo ascolterò né gli rivolgerò mai più la parola”. E così fu.
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blade |
Inviato il 25/11/2011 18.35.17 |
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Da quel dì la passerotta chiuse il suo cuore al canto del passero triste, e giorno dopo giorno quel canto si fece sempre più melanconico, a volte si coloriva di nostalgia altre volte si venava di cieco furore e gelosia, perché il passero vedeva che la sua bella passerotta gli aveva voltato le spalle, e diventava sempre più mesto, col passare del tempo, il suo cuore. Sapeva che lei aveva ragione, doveva lasciarla perdere, dimenticarla, ma era pazzo di lei, non riusciva a farlo, non poteva perderla né starsene lì con le ali nelle ali a vedere come si rovinasse la vita; anelava che lei lo amasse alla follia, che lo aiutasse, aveva bisogno di una mano, anzi no, è più opportuno dire, in questo caso, di un’ala per risollevarsi per rincuorarsi per tornare a sorridere e a volare con le sue di ali insieme a lei che amava più della sua stessa vita.
Ma lei, la bella passerotta, non aveva intuito, era egocentrica ed egoista, si sentiva solo ferita nell’orgoglio e nell’amor proprio per quel comportamento inaudito per lei, avvezza a tutt’altri modi e a tutt’altra specie di spasimanti: pettoruti, coraggiosi, forti, fieri di sé e delle proprie ali, che la cercavano e le stavano addosso come api sul miele; e che sapendo del debole di lei per lui, lo odiavano, e facevano di tutto per allontanarli, e dividerli, per sempre.
Così gli voltò definitivamente le spalle e si diede ai suoi ammiratori che venivano da ogni dove, sì, insomma le stavano dietro facendole la coda come uno strascico pieno di veli e di piume colorate. E fece tacere il suo cuore che gli parlava ancora del passerotto e del suo canto d’amore, sdegnata. Ma una sera avvenne che, mentre si accompagnava, giocando e ridendo piacevolmente, a uno dei suoi corteggiatori, questi, giunti in un luogo un po’ fuori mano, sfruttando il favore del buio, protese il becco rapace verso di lei e costringendola a indietreggiare in un angolo la spinse con le spalle al muro e le premette brutalmente le sue ali da predatore sul petto schiacciando le tenere ali sue sotto il suo peso in modo che la passerotta non riusciva più a muoversi né a liberarsi da quella stretta violenta e improvvisa che le faceva male al petto; ed era così terrorizzata che non riusciva nemmeno a fiatare.
Avrebbe voluto gridare ma non ci riusciva, tale era la morsa di quella stretta, e la morsa ancora più terribile della paura. Si sentiva morire, era disperata la passerotta, aveva già le lacrime agli occhi e la rassegnazione dell’agnello destinato al macello quando l’aria fu straziata da un canto così struggente che tutti gli abitanti del bosco si destarono come da un sonno, e aprirono di scatto le finestre dei loro nidi… “che succede ?” si chiedevano tra dirimpettai, “da dove viene questo canto?” A quelle voci di smarrimento e a quei rumori di finestre, che si aprivano e sbattevano, quegli allentò la stretta, per la sorpresa e lo sgomento, ebbe un attimo di esitazione che diede modo alla passerotta di liberarsi e sgusciare via, e non si sa come di tornare a casa in preda a una terribile tremarella. Nemmeno lei sapeva come era riuscita a tornarci tanto si sentiva mancare.
L’aveva scampata bella, ancora tutta tremante e pallida come un lenzuolo si immerse fino a scottarsi nell’acqua bollente, doveva levarsi di dosso, far sparire, eliminare, quelle tracce sulla pelle che le davano la nausea, che la rivoltavano, facendola sentire come violata sporca umiliata.
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blade |
Inviato il 25/11/2011 18.36.17 |
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Indi, poi, si mise a letto, poverella, che tremava ancora, e precipitò nel lago di un sonno profondo e agitato, che la fece delirare per tutta la notte. L’indomani però già si sentiva un po’ meglio, il sole entrò dalla finestra con i suoi caldi raggi le restituì il vigore limpido del mattino; aveva ancora un po’ di paura addosso ma il peggio era passato. Stava ancora pensando, con un brivido lungo le ali, che solo grazie a un miracolo era sfuggita agli artigli di quell’avvoltoio, e ripercorreva con la mente quell’incubo, quando le sovvenne come da un’eco che giungeva da lontano, in un angolo remoto della sue mente, se non della sua anima, ancora confusa, di aver sentito nell’aria la struggente musica di un canto proprio un istante prima di liberarsi, che le aveva dato una forza e un’energia che nemmeno sapeva di avere. Ed era proprio quel canto di quel passero triste, che non aveva voluto più ascoltare che l’aveva salvata, che le aveva dato la forza, e che anche ora in quell’ora l’accompagnava come una carezza e la rincuorava di tenerezza, come il tocco soave di un angelo che la faceva sentire ancora preziosa e amata, dopo quella umiliazione e quei lividi che aveva lavato fino a raschiarsi le piume.
Seppe così in quell’istante stesso perché aveva amato quel passerotto, perché era diverso dagli altri, era un passero come lei, che non le avrebbe mai fatto nulla di simile, non l’avrebbe mai violata quel passerotto, il quale non era andato da lei a pretendere né a riscuotere niente nemmeno quando gli aveva detto che l’amava; lui l’amava teneramente e non chiedeva che di amarla e proteggerla con il suo amore le sue premure, e c’era riuscito anche da lontano con il suo canto.
Così tornò a cercarlo, come una disperata, in ogni angolo del bosco, ma sembrava come rapito dal cielo. Venne l’inverno freddo il gelo e la passerotta continuò a cercare quell’uccel di bosco sotto la pioggia la neve e la tempesta, disperandosi e pregando che tornasse per abbracciarlo con le sue ali e dichiarargli il suo amore; poi venne ancora la primavera, ma il passero triste del suo cuore non tornò. Poteva volare libero adesso e cantare in un altro cielo, aveva compiuto la sua missione, con il suo amore l’aveva salvata, le aveva insegnato ad amare. Ora sapeva volare finalmente. Le aveva lasciato l’amore nel cuore e un canto lieve come uno zefiro che le soffiava teneramente sulle ali in volo e non la lasciava mai.
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blade |
Inviato il 25/11/2011 18.38.35 |
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L’amore non è avere ma dare
Solo chi sa dare sa amare
L’amore è un dono che viene dal cuore
Un fiore che non si può conquistare
Né si può rubare possedere usurpare
L’amore ha premura, è sollecito
Cura previene alla necessità
Non aspetta non rimane a guardare
Sa ascoltare i silenzi e intuire
Non pretende ma per primo tende la mano
E soccorre e assiste e protegge
L’amore non è mai umiliante
L’amore non chiede di sé e per sé
Ma domanda dell’altro per l’altro
Perché l’altro viene primo
Quando è amore.
L’amore è ciò che rende i nostri gesti autentici
Perché nascono dal cuore
E sono gesti vivi finalmente
Che ci danno la vita
Non gesti che si guardano allo specchio
Che non escono da quella dorata cornice
Ma servono all’apparenza
Facendoci apparire senza essere
Come fantasmi senza sostanza
Sogni senza materia
Fumo negli occhi
Specchietti per le allodole.
L’amore è vita che dà la vita
Non la morte
È la gioia di vivere che si esprime
Cantandone la bellezza
O lamentandone l’assenza
In ogni istante vivo
L’amore non cerca il male
L’amore vuole il bene
Anche quando riprende
L’amore non maledice
L’amore benedice
Benedicendo così la vita stessa
L’amore non giudica anche quando giudica
Perché sa comprendere e non sa escludere
L’amore non è invidioso
Non è miope
Non guarda con le viscere
Ma con gli occhi del cuore
Con gli occhi di Dio.
Solo l’amore sa perdonare
E solo l’amore può salvarci
Perché solo l’amore sa ridarci le ali
Per tornare a volare in cieli più limpidi di prima.
L’amore è un mondo semplice e meraviglioso
Che vive solo nel cuore di chi a tutto sa rinunciare
È il sorriso lieve dell’anima
La musica e l’incanto che abbiamo dentro
Quel volo del cuore
Che indora ancora i nostri occhi
Di pace.
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unica |
Inviato il 25/11/2011 23.57.08 |
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veramente bella storia... bravo Blade
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la lontra |
Inviato il 26/11/2011 7.41.36 |
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Bella..bravo blade..:-))
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